autopresentazione

Autopresentazione

Dal catalogo della mostra, Galleria “Il Fante di Spade”, Milano, 1981

Sandro LuporiniGeneralmente, quando si afferma che una cosa è bella, giusta, vera, ci si sente obiettare che è un’affermazione soggettiva. Questa obiezione, fatta da persone ragionevoli, aperte e democratiche, non può che rallegrare.
I concetti del soggettivo e dell’oggettivo si sono completamente invertiti.
“Oggettivo” è l’aspetto non controverso del fenomeno, una specie di sommatoria di opinioni, il cliché accettato senza discutere, la facciata composta di dati classificati: inteso in questi termini l’oggettivo diventa automaticamente il soggettivo (o perlomeno il soggettivo collettivo convenzionale).
“Soggettivo” invece è ciò che spezza quella facciata, ciò che penetra nella specifica esperienza dell’oggetto, si libera dei pregiudizi convenuti e colloca il rapporto con l’oggettivo al posto delle risoluzioni di maggioranza: e cioè l’oggettivo (o perlomeno l’unica strada per raggiungere l’oggettività).
L’obiezione iniziale di relatività del vero, del giusto, del bello, che appare frequentissima nel campo dei giudizi estetici, è comoda, ma priva del coraggio morale.
In realtà, per chi si sottometta seriamente alla disciplina di un’arte, alla sua legge di linguaggio, alla necessità della sua costituzione, la riserva del carattere puramente soggettivo della propria esperienza si dissolve. Ed ogni passo che egli compie nell’interno della cosa (grazie ad una sensibilità estremamente soggettiva) può avere una forza oggettiva incomparabile.
Ma questa possibilità non viene mai riconosciuta. Anzi quei signori ragionevoli, aperti e democratici si adagiano sull’opinabile e, sempre nel campo dei giudizi estetici, troppo spesso la conversazione sul soggettivo degenera al “De gustibus non est disputandum” che è una delle massime più insensate della storia dell’uomo. Per questa gente (tra cui anche noti critici d’arte) l’arte non è mai abbastanza bizzarra e irrazionale. Sono disposti ad accettare qualsiasi emozioncina, qualsiasi opinione, qualsiasi tendenza pur di tener lontano dall’opera d’arte la coscienza e l’aspirazione alla verità una.
La loro disponibilità è tale che non si accorgono dell’incompatibilità delle tendenze. È vero che i quadri non sono facilmente commensurabili, ma è anche vero e giusto che vogliano distruggersi a vicenda.
L’accettazione di qualsiasi esperienza artistica è una debolezza o un trucco della cultura neutralizzante, e il fatto ricorrente che un critico presenti oggi un pittore e il giorno dopo uno di tendenza diversa non è segno di apertura, ma di disgregazione morale.
L’idea del vero non può essere suddivisa. Ogni opera aspira al vero nella propria unicità e, proprio perché non ammette suddivisioni, vuole giustamente la morte dell’altra, e successivamente anche la propria. Questo impulso alla distruzione e all’autodistruzione, questa tendenza alla morte è la sua sola salvezza.
La tolleranza estetica, che lascia invece convivere le opere d’arte, infligge loro la falsa morte dell’“uno accanto all’altro” tanto cara alle rassegne internazionali; la morte dell’“uno accanto all’altro” in cui è negata l’aspirazione alla verità una.
Questi appunti, chiaramente adorniani, di fatto giustificano la mancanza di una vera e propria presentazione. È ovvio che, dopo le premesse, io non vorrei un critico, ma un sostenitore fedele fino all’ossessione, un tifoso, non di me naturalmente, ma della tendenza. È anche ovvio che, dopo le premesse, sono costretto per coerenza ad affermare che i pittori che amo non sono dei bravi pittori, ma “gli unici pittori”.
G. F. Ferroni e, sempre a proposito dell’unicità della verità, devo dire che imitarlo è un suicidio, ma non emularlo (nella sua metodologia) è una prova di ignoranza.

Sandro Luporini

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